La Tourette, Marsiglia

1948 – 1954
Contesto: ricostruzione postbellica, città antica
Programma: 260 alloggi in 2 edifici (altezza variabile tra 4 e 10 piani) e 1 torre (16 piani).
Costruzione: Pouillon mette a punto i sistemi costruttivi che saranno alla base di un metodo di progetto per l’industrializzazione edilizia dei cantieri francesi e algerini. Le facciate sono realizzate con la tecnica della «pierre banchée», che prevede l’utilizzo della pietra come cassero a perdere armato per il getto di calcestruzzo. Le partizioni interne sono realizzate con mattoni forati portanti (7x21x21 cm) posati di taglio. I solai sono costituiti da piastre di cemento armato gettato in opera.

«La Tourette formava un complesso che dominava tutta la città. Il Vieux Port da un lato e il mare aperto e il porto dall’altro, con una vista straordinaria. Avevo previsto quattro edifici: il primo, che costituiva lo sfondo della composizione, era lungo centottanta metri e alto otto piani; una torre di venti piani; e sul davanti, due edifici di quattro piani disposti intorno a una bella spianata, alta, accessibile tramite rampe e scalinate monumentali. Si trattava di un immenso complesso in cui avevo incorporato la chiesa di Saint-Laurent, il suo campanile del XVII° secolo e una magnifica cupola di pietra rosa. Il profilo generale equilibrava, sulla destra del Vieux Port, l’imponente mole dell’alto forte di Saint-Nicolas. […]
Restava l’architettura da inventare. Mi ci vorrebbe un volume intero per descrivere il lavoro che facemmo in qualche settimana. Meticolosamente ricercai una trama. Determinai la disposizione degli alloggi. M’imposi un interasse, inventai un sistema di costruzione per i muri e un altro per i solai. Per la prima volta era previsto un unico vano tecnico per l’alimentazione e l’evacuazione del bagno, della lavanderia, della cucina, per lo scolo dell’acqua piovana, per il gas e la raccolta dei rifiuti. Le piante si organizzavano contemporaneamente alla stima dei costi, l’architettura delle facciate in stretta relazione con la scelta del materiale e del sistema di costruzione dei muri, che non erano in pietra Marcerou. […]
Volevo un aspetto massiccio, pieno: un ordine di finestre profondamente rientranti in muri spessi sessanta centimetri. L’insieme doveva rispondere alle possenti muraglie del forte Saint-Nicolas, la cui materia e il colore mi servivano da modelli, così come le modanature delle fasce orizzontali s’inspiravano a quelle delle fortificazioni.
Il sistema strutturale era molto semplice. Non c’era alcuna ossatura verticale in cemento armato, solo i solai erano composti da solette prefabbricate. I muri perimetrali e i divisori longitudinali erano in cemento colato o gettato in pannelli di legno. In facciata la casseratura era sostituita da magnifiche lastre di pietra dura: il sistema del cassero a perdere in pietra, “pierre banchée” era nato. Da allora, migliaia di edifici si sono costruiti nello stesso modo, e più tardi, dei mercanti di pietre vennero ingenuamente a propormi il “loro” brevetto di ancoraggio. Tutto in questo progetto tendeva alla semplicità.
Cercavo di fare il lavoro dell’imprenditore, dell’ingegnere e dell’architetto. I minimi dettagli erano studiati, tanto nella ricerca dei materiali quanto nella loro posa in opera. I calcoli preliminari seguivano lo studio, passavo circa tre o quattro ore al giorno con i vari tecnici delle imprese per domandare il loro punto di vista. Seppi in breve tempo calcolare i prezzi come un vero imprenditore. Materiali, mano d’opera, montaggio, tempo di posa m’interessavano sempre. L’analisi dei gesti di un operaio, specializzato o meno, mi divennero familiari.»

Fonti:

da F. Pouillon, Mémoires d’un architecte, Éditions du Seuil, Paris 1968, pp. 100-101