Diar-el-Mahçoul, Algeri

1954 – 1956
Contesto: nuova costruzione, residenza popolare pubblica, crinale di Algeri.
Programma: 1250 appartamenti, commercio e servizi. 38 edifici: 19 e una torre di 11 piani sulla cresta che domina di Algeri (‘confort normal’), altri 19 a sud sono la parte musulmana (‘simple confort’).
Costruzione: muratura portante in pietra da taglio e mattoni forati verticali. Solai in c.a. con armature incrociate tra elementi scatolari prefabbricati. Strati di sughero rasati a gesso per il rivestimento dei soffitti. Copertura praticabile in coccio pesto.

«Il carbone e l’acciaio non costituivano più un problema, la Francia usciva dall’era delle restrizioni. L’iniziale predilezione per la pietra lasciava il posto a motivi di ordine estetico e sentimentale. La pietra era sinonimo di materiale nobile. Gli architetti delle nuove generazioni se ne disinteressavano. Se qualche volta un committente ne imponeva l’uso, convinto dal fervore di Marcerou, i progettisti facevano di tutto per renderla inaccettabile. Ero uno dei pochi a non avere alcun pregiudizio riguardo alle strutture. I vari architetti moderni me l’hanno sempre rimproverato: essere all’altezza dei tempi voleva dire costruire in calcestruzzo e acciaio, altrimenti non si entrava a far parte del gioco. Si era trattati come retrogradi e si cercavano termini complicati per esprimere critiche con linguaggio professionale.
Considero l’architettura come un’arte al servizio della società. Se il servizio è reso bene, la scelta del materiale importa poco. Non bisogna mai dimenticare che il modernismo di una certa epoca è responsabile dello stile moderno e quello di un’altra del barocco. Tutto ciò è arrivato dopo il rigore dell’architettura romana, l’ardire delle strutture gotiche, la purezza dell’arte greca. Perret e Le Corbusier avevano lo stesso testo di riferimento, la Storia dell’Architettura di Choisy».

Fonti:

da F. Pouillon, Mémoires d’un architecte, Éditions du Seuil, Paris 1968, pp. 169-174